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L’utile, l’inutile e l'essenziale

Comprendere la differenza fra queste tre categorie non è solo speculazione intellettuale ma, al contrario, può fornire capacità operative che possono alzare di molto la qualità della nostra vita o del nostro lavoro.

Partiamo dall’analisi delle prime due, un’osservazione da poter fare a due livelli differenti o meglio con due “attenzioni” differenti.

Con la prima attenzione (partendo dal presupposto che possiamo essere anche non attenti, e questo capita molto spesso) possiamo stabilire delle priorità, decidere cioè ciò che ci è utile per raggiungere i nostri obiettivi personali o professionali, oppure uno stato di maggior salute o benessere, o ancora una migliore performance sportiva o artistica.

Significa creare strategie e pianificare azioni che ci portino verso la meta e riconoscere ciò che invece ci allontana o ne ritarda il raggiungimento.

A questo livello usiamo la mente razionale e, importantissimo, non decidiamo ciò che è giusto o sbagliato, ma solo ed unicamente ciò che ci è utile o ciò che non lo è.

Esiste però una seconda attenzione, un livello superiore dal quale guardare le cose, che ci permette di scoprire che non esistono schemi fissi che stabiliscano cos’è utile e cosa no.

E soprattutto ci evita di cadere nella trappola (facilmente presente nella mente razionale) del considerare utile solo ciò che è evidentemente produttivo, logico, pianificato, qualcosa che è molto influenzato da una sorta di senso del “dovere”, o dall’attaccamento al risultato, da una “freddezza” che irrigidisce e tende a spegnere il desiderio.

Il mezzo viene confuso con il fine.

Attraverso questa “seconda attenzione”, dicevo, la trappola si evita e si rivelano percorsi più creativi.

Possiamo per esempio scoprire che prendersi una banale “pausa caffè” al momento giusto è qualcosa di estremamente utile per poter ripartire con più energie o, al contrario, che una pianificazione troppo dettagliata e complicata finisce per rallentare il nostro cammino verso l’obiettivo.

Si va oltre gli schemi preconfezionati.

E da qui il passo è breve verso… l’essenziale: essere nel Cuore!

Non è un passaggio lineare, logico, graduale, ma un vero e proprio “salto” ad un livello differente.

L’essenziale non può facilmente essere descritto a parole, né tantomeno analizzato razionalmente, perché esso ha a che fare più con “qualità interiori”.

Esistono però singoli termini che, se colti nel loro senso più profondo, possono indicare alcuni aspetti.

Questi aspetti, come si può notare ad un’analisi non superficiale, non ricadono nelle ovvie e banali emozioni con le quali spesso si identifica erroneamente il termine “Cuore”.

Essere nel Cuore non ha a che vedere col sentimentalismo, né con le fluttuanti e incostanti emozioni che solitamente ci attraversano.

Essere nel Cuore significa innanzitutto essere “centrati”, “presenti”, partire dal “nucleo profondo di se stessi” per lasciare emergere fiducia, gratitudine (che precede, attenzione, l’ottenimento del risultato), apertura, silenziosa gioia, spontaneo senso di altruismo.

Se per sviluppare utili strategie ed efficaci azioni esistono modalità operative valide che possono essere apprese, per imparare ad “essere nel Cuore” occorre un percorso diverso, con tecnologie diverse, strutturate per creare la “possibilità” di sperimentare questo stato e imparare a mantenerlo.

Un’ultima cosa fondamentale: cercare l’essenziale e muoversi a partire da esso non esclude gli aspetti precedentemente esposti. Discernere l’utile dal non utile, muoversi con facilità nel mondo della “prima attenzione” è fondamentale se si vuole esprimere l’essenziale, comunicarlo, insegnarlo, renderlo utile nella vita e nel lavoro.

Quindi rimanere nel Cuore e mettere la mente e il corpo al suo servizio.

Cercare sempre l’essenziale, mentre si cresce in capacità di discernere l’utile dall’inutile.